Sette colpi di fucile: tanti ne sono bastati ad Ahmed, marito della ventottenne Arzu Bostac, per distruggerle la vita. Sette colpi di fucile usati come simbolo per evitare un divorzio che lui non gradiva. Sette colpi di fucile che hanno tolto ad Arzu la possibilità di usare le braccia e le gambe.
E’ questo il tragico epilogo di un matrimonio nato tra mille difficoltà. «Mi è stato chiaro dal primo giorno che ero considerata una serva da tutta la famiglia, madre inclusa. Non ho mai visto un gesto d’amore da parte di nessuno», racconta Arzu tra le lacrime. «Mi diceva che se avessi divorziato avrebbe ucciso mio padre e mia madre. Sapevo che ne sarebbe stato capace. E infatti un giorno che provai a chiedergli ancora una volta di concedermi il divorzio mi avvolse un telo intorno agli occhi e mi trascinò nel bosco che circondava la fattoria isolata dove mi aveva costretta a vivere. L’intento era quello di farmi a pezzi. Stava per infilarmi un coltello in gola quando i miei tre figli maschi di 8, 7 e 6 anni – che ci avevano seguito senza farsi notare – mi si gettarono contro supplicandolo di non uccidermi».
La svolta arriva nei mesi successivi al loro trasloco dalla campagna ad Ankara, in una delle tante case popolari costruite dal governo Erdogan. Ahmed violentò una donna handicappata che rimase in cinta. «Feci io da mediatrice con la famiglia di lei chiedendo loro di non denunciarlo ma di attendere un nostro eventuale divorzio che gli avrebbe permesso di sposare la loro figlia». Per la prima volta lui acconsentì alla separazione facendo promettere ad Arzu che avrebbe potuto tenere i loro figli se non fosse tornata a casa dalla sua famiglia. Accettò. E rimase con lui durante le pratiche di divorzio.
Un giorno, cinque mesi fa, dopo che i quattro figli più grandi erano andati a scuola, le chiese di portare i bambini più piccoli da una vicina, così da essere loro due liberi per recarsi dall’avvocato. «Dopo averlo fatto mi sono messa a rifare il letto quando all’improvviso l’ho sentito arrivare dietro di me». Aveva un fucile a pallettoni in mano. Freddamente mi disse: «Non ti ucciderò ma divorzierai da me solo da storpia». Poi, i sette spari.
Non ha mai perso conoscenza durante quegli orrendi istanti. La davano per spacciata al suo arrivo in ospedale, ma Arzu ha continuato a vivere. Ora, ferma in un letto, chiede che le vengano restituiti i suoi figli, nel frattempo finiti in un orfanotrofio pubblico, e la sua dignità. L’unica speranza di Arzu adesso è quella di recuperare l’uso delle braccia. Magari anche soltanto di un braccio. Ma non è facile. Avrebbe bisogno di ulteriori interventi che non essendo salvavita non sono offerti dai servizi sanitari turchi. Per questo si appella ai medici internazionali per trovare un aiuto.
E’ per Arzu e tutte le donne come lei che Ferite a Morte si sta impegnando in questo tour internazionale. Abbiamo annunciato la nostra tappa in Turchia in un momento carico di significato. Un momento di riflessione per tutti, per ascoltare queste voci che chiedono un disperato aiuto. Noi saremo ad Istanbul con le nostre storie e i volti di queste donne nel cuore, portavoci della lotta contro ogni tipo di violenza.
Fonte: L’Espresso