Qualcuno mi dice: ”Per fortuna almeno ora se ne parla!”. E’ vero molte cose sono cambiate da un anno fa, da quando ho cominciato timidamente a scrivere i monologhi di “Ferite a Morte”. Sentivo il fiume sotterraneo di sangue e di dolore inascoltato, travisato, minimizzato e cercavo un modo di portarlo allo scoperto, di dare voce a queste figurine femminili che erano solo dei numeri in crescita esponenziale, materiale buono per articoli di cronaca nera un po’ splatter e morbosetti. Di sicuro qualcosa è cambiato. Due pagine di commenti ad ogni femminicidio con il report dei come e i perché e l’analisi scientifica degli esperti sul campo, sono sicuramente un grande passo avanti nella battaglia contro la violenza domestica e le sue “inevitabili” conseguenze. Appaiono anche i primi timidi articoli di grandi giornalisti che si interrogano sull’inedita possibilità di farsi carico del problema. Vuoi vedere che forse anche gli uomini cosiddetti per bene o normali, lontano mille miglia da atteggiamenti violenti, dovrebbero occuparsi di più della questione?? Qualcuno è stato finalmente sfiorato dall’idea che, visto che sono gli uomini a uccidere le loro amatissime compagne, c’è qualcosa nella nostre relazioni affettive, di coppia, che non va e che questo qualcosa forse non è un fatto privato ma riguarda la società intera, la politica del paese e soprattutto non si tratta solo di una questione di sicurezza personale. Forse non bastano guardie di quartiere, braccialetti elettronici per gli stalkers e arresti domiciliari per una settimana. Forse bisogna finalmente allargare lo sguardo e vedere il dramma nel suo insieme con tutte le implicazioni sociali e culturali che lo radicano profondamente nel nostro territorio. Ben vengano naturalmente le buone intenzioni del governo e il nuovo decreto legge che vuole inasprire le pene e finalmente occuparsi di queste violenze e morti annunciate. Ma è arrivato il momento di fare di più. Le indicazioni ci sono, le hanno studiate da anni donne esperte nel campo, dalle giuriste, al comitato del Cedaw, alle migliaia di volontarie dei troppo pochi e mal finanziati centri anti violenza italiani, fino agli operatori medici di qualche avamposto ospedaliero illuminato che sanno per esperienza che le donne non possono cadere così spesso dalle scale! Come lo sanno alcuni benemeriti esponenti di carabinieri e polizia che, nonostante la cecità di superiori e istituzioni, hanno provato a cambiare il senso del loro lavoro, dando credito alle denunce, evitando di rimandare a casa le vittime dai loro carnefici; e poi l’hanno sempre saputo oscure insegnanti di scuole materne, asili, medie e superiori che nel silenzio ministeriale hanno inaugurato faticosamente una didattica contro stereotipi di genere, bullismo e omofobia, tutti facce della stessa cultura maschilista che si fa fatica a estirpare, specialmente se non si capisce che bisogna partire subito dalle nuove generazioni.
Questi sono i veri esperti sul campo, mosche bianche che fanno un lavoro prezioso e spesso ignorato in un paese dominato da una politica sonnolenta che si occupa perlopiù di gossip parlamentare e processi altolocati. Sono loro che dovrebbero essere consultati con urgenza dai legislatori se si vuole veramente cambiare quello che molti pensano sia un destino ineluttabile e invece non lo è. Sono loro la task force che si deve mettere in campo se si hanno intenzioni serie per combattere questa guerra infinita. Tutto il resto è demagogia, annunci ad effetto per appuntarsi le solite inutili medaglie sul petto e poi lasciare che tutto rimanga più o meno com’è, tanto a rimetterci sono solo le solite vittime di sempre che poco contano nei grandi destini della politica urlata dei nostri tempi.