Fino a un anno fa o poco più era quasi inutile cercare “femminicidio” sui motori di ricerca: risultati zero o quasi. Oggi il termine si è imposto in tutti i media, anche l’Accademia della Crusca considera la sua diffusione “una manifestazione di evoluzione culturale e giuridica”. Se è vero allora che c’è ancora tanto da fare contro la violenza di genere, e che tuttora in Italia le donne vengono ammazzate in quanto tali, allo stesso tempo qualcosa finalmente si muove.
Partiamo dai numeri, quindi dalle brutte notizie. L’anno scorso (dal primo gennaio al 25 novembre) nel nostro Paese sono state assassinate 128 donne da mariti, compagni, figli, famigliari, semplici conoscenti. Dal 2000 al 2012 (Rapporto Eures) 2.220 donne in Italia sono state assassinate: 171 all’anno, quasi una ogni due giorni. In Italia le donne tra i 16 e i 70 anni che hanno subito una qualche forma di violenza (fisica, sessuale, psicologica, sul lavoro) sono 6 milioni e 743mila, il 31,9% del totale: quasi una su tre. Come ricorda Stefania Prandi nella sua rubrica su ilfatto.it, la violenza contro le donne costa allo Stato 2,3 miliardi di euro all’anno, dei quali soltanto 6 milioni per le misure di prevenzione. Se tutte le donne denunciassero i propri aggressori, spetterebbe loro un risarcimento per un totale di 14,3 miliardi di euro all’anno.
E ancora: il Global gender gap report 2013, stilato dal World economic forum, piazza l’Italia al 71esimo posto per quanto riguarda la parità di genere, addirittura dopo la Cina(69esima in classifica); l’ultimo rapporto Istat rivela che il tasso di occupazione femminile si attesta in Italia al 47,1% contro il 58,6% della media Ue a 27 (59,8% nell’Ue a 15). Le donne nel nostro Paese continuano a essere pagate meno rispetto agli uomini: il loro compenso orario è dell’11,5% inferiore a quello maschile. L’Italia è 124esima su 136 Paesi per quanto riguarda le possibilità per le donne di fare carriera.
Potremmo proseguire, ma allo stesso tempo è un fatto che, ormai, qualche timida inversione di tendenza sia in atto. Di femminicidio oggi in Italia si è iniziato e si continua a parlare. Senza più tabù. Lo testimoniano gli spettacoli e i libri dedicati all’argomento. Se “Ferite a morte” di Serena Dandini ha girato l’Italia e il mondo fino ad approdare all’Onu in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, si possono ricordare tra i tanti altri lavori di successo come “Questo non è amore”, delle autrici del blog la 27esima ora del Corriere.it, oppure “L’ho uccisa perché l’amavo. Falso” di Loredana Lipperini e Michela Murgia.
Anche sulla scia di questa ‘presa d’atto’ collettiva, la politica finalmente qualche passo l’ha fatto. Il Parlamento lo scorso giugno han ratificato la Convenzione di Istanbul, il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante in materia di protezione dei diritti della donna contro ogni forma di violenza. L’11 ottobre scorso è stato approvato il tormentato decreto legge “sul femminicidio”: anche se soltanto cinque degli 11 articoli di cui è composto il testo si riferiscono effettivamente alla violenza sulle donne, con la legge in questione sono state introdotte misure come l’aggravante per la relazione affettiva tra l’aggressore e la vittima di violenza, la possibilità di inasprire la pena anche nel caso di violenza sessuale contro donne in gravidanza o commessa dal coniuge, arresto obbligatorio in flagranza di reato, la querela irrevocabile per stalking in presenza di gravi minacce ripetute, l’introduzione del braccialetto elettronico. E poi l’obbligo di informazione per le vittime e il patrocinio gratuito per le donne che hanno subito stalking, maltrattamenti domestici e mutilazioni genitali, lo stanziamento di 10 milioni di euro per il piano anti-violenza. Con le elezioni dello scorso febbraio il numero di parlamentari donne- per la prima volta nella storia- ha raggiunto il 30%, e nel disegno di legge sulle Province c’è un emendamento che vieta una rappresentanza di genere inferiore al 40% nelle giunte degli oltre 1.860 Comuni italiani.
Se qualcosa dunque si è mosso, con l’anno appena iniziato sarebbero auspicabili nuovi interventi. Servono più fondi ai centri anti-violenza, più sportelli di ascolto, più formazione specifica agli operatori sociali e alle forze dell’ordine. Se ci si ferma ora, il rischio è quello di tornare indietro. Bisogna dimostrare e confermare che la svolta, come dicevamo, sia davvero culturale. Di pari passo bisogna educare alla parità di genere già a scuola, ma soprattutto occorrono fatti: ad esempio servirebbe un adeguamento agli standard europei su questioni cruciali come le garanzie alla maternità (il boom delle nascite in Francia non è casuale) e i congedi parentali, così come bisognerebbe aumentare e potenziare gli asili nido.