Franca Rame è stata la prima donna a cui ho pensato quando abbiamo deciso di mettere in scena “Ferite a Morte”. Franca, infatti, avrebbe riassunto in sé tutte le donne, rappresentandoci tutte quante in questa campagna (non mi piace chiamarla ‘battaglia’, non si addice al nostro spirito) contro il femminicidio, contro la violenza sulle donne. Quella di Franca (che ha dovuto rinunciare a salire sul palco perché già non stava bene) non sarebbe stata solo l’interpretazione di una grande artista; sarebbe stata la voce di una donna che quarant’anni fa, quando lo stupro era ancora un’offesa contro la moralità pubblica e non alla persona che lo subiva, ha avuto il coraggio di denunciare e raccontare pubblicamente quello da lei subito. Franca, con la sua dolcezza, con la sua bellezza e fierezza allo stesso tempo, ha aperto la strada a chi oggi si adopera per i diritti delle donne, per i diritti civili. Nello spirito, nell’esempio, nel coraggio di prestare la propria faccia ai monologhi delle vittime di un uomo che diceva di amarle, è stata sempre con me, con Maura e con tutte le lettrici di Ferite a morte nelle tappe del nostro tour e, in generale, in questa grande avventura collettiva che si è rivelata essere Ferite a morte.
Franca se n’è voluta andare solo dopo che il Parlamento italiano ha ratificato una convenzione, quella di Istanbul, che classifica “la violenza sulle donne come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione”. Grazie, Franca, per averci lasciato questa ultima, importante consegna: sapremo onorarla, sapremo onorarti. Lunga vita, Franca!
Serena Dandini