È stata Lina Wertmüller a scoprire il talento di Giorgia Cardaci, a sottrarlo al teatro e a portarlo al battesimo col grande schermo. “Ferdinando e Carolina”, firmato dalla grande cineasta italiana, ha dato il via a una carriera serrata, divisa tra il cinema e la televisione. Anche Giorgia ha sposato il progetto “Ferite a morte” dai suoi primissimi passi e ora ha accettato l’invito di farsi portavoce in prima persona delle storie scritte da Serena Dandini lungo tutto lo Stivale.
Le storie raccontate da “Ferite a morte” provengono da diverse parti del mondo: al di là del loro tragico epilogo, secondo lei cosa accomuna le protagoniste di queste vicende?
«Credo che più che domandarsi cosa accomuni le donne di tutto il mondo che hanno subito violenza, sia interessante notare come gli uomini di diverse nazionalità, diverse provenienze socioculturali siano uniti trasversalmente da un sentimento di odio nei confronti delle donne, che sfoga unicamente nella violenza. Insomma, sono i motivi per cui ci ammazzano che accomunano gli uomini da un capo all’altro del mondo. Ci ammazzano per ristabilire una gerarchia che non c’è più, per sfogare una frustrazione sempre più profonda e per porre fine a una competizione feroce con le loro compagne».
Secondo lei quanto è frequente, nella vita di una donna, l’esperienza della violenza, verbale o fisica?
«Io credo che la violenza domini i nostri tempi, purtroppo, e non sia una prerogativa unicamente maschile. L’unica ma fondamentale differenza tra le donne e gli uomini è che, difficilmente, l’odio di una donna sfocerà in un omicidio».
Molto spesso la violenza domestica si manifesta davanti agli occhi dei bambini. Lei è da poco diventata mamma, che effetto le fa leggere di questi piccoli e impotenti spettatori?
«Quando leggo di bambini che diventano testimoni involontari di violenze subite dalle loro madri mi si stringe il cuore. Credo comunque che un’ampia parte di responsabilità cel’abbiano proprio le madri. Un po’ per via di un retaggio culturale che vedeva le donne di un tempo in uno stato di abnegazione e assoggettamento nei confronti dei loro uomini, alcune persone ancora al giorno d’oggi restano in situazioni insostenibili. Ci sono amori malati in cui non bisognerebbe restare ad ogni costo ma spesso non si va via in tempo; in tempo per salvarsi la vita e per non rovinare quella dei nostri figli. Noi donne abbiamo tutti i mezzi per essere autorevoli e questo crea un senso di inadeguatezza intollerabile per i nostri compagni. Abbiamo peró anche, la sensibilità e l’intelligenza per capire che un rapporto malato non porterà nulla di buono. Quindi, non raccontiamoci favole ma portiamo via noi e i nostri figli dal pantano. Si può fare!»