Milano, 7 Marzo 2013
IO CI SONO PERCHE’ mia madre mi diceva “o metti i pantaloni stretti oppure la maglietta attillata”, mi terrorizzava parlandomi delle mutilazioni genitali, mi metteva in allarme sui disturbi alimentari nati dalla non accettazione di sé. Leggeva libri su eroine prima sopraffatte e poi forti abbastanza per scappare dai propri incubi e ricominciare altrove forti e sicure del loro valore. Mi spiegava che il mondo funziona in un modo strano per cui sfortunatamente a farne le spese erano le donne. E ovviamente eravamo solo femmine in casa.
Eppure mi scornavo con lei sul mio diritto alla minigonna perché non mi sembrava accettabile che l’occhiata di un uomo potesse essere determinante per il mio modo di aprirmi alla vita. Mi arrabbiavo perché non sapeva rispondermi quando le chiedevo per quale motivo, per una ragazza, dovesse essere tutto più difficile.
Poi sono cresciuta e non mi spiegavo come mai certe amiche non uscissero se non con il fidanzato. Forse, mi dicevo, perché il fidanzato prima di una certa età non l’hanno avuto. E allora mi chiedevo perché dovessi specificare ai ragazzi che se mi invitavano fuori non c’erano scambi da dare per scontati – e quanti passaggi persi di conseguenza -.
Qualche anno ancora e sentivo, in contesti di persone insospettabili, discorsi tipo “se tu lo fai arrabbiare è ovvio che ti tratti male“. Ho visto amiche ridotte uno straccio interrogarsi su quale fosse precisamente la colpa da loro commessa per trovarsi in situazioni in cui oggettivamente non c’era nulla di cui sentirsi responsabili.
E oggi guardo mia figlia e le due che ho acquisite. Mi chiedo cosa riserverà loro il futuro visto che nessuna donna di cui è stata distrutta la vita era preparata a morire per mano di chi sosteneva di amarle. Mi chiedo cosa possa fare per insegnare loro a difendersi dal ricatto dell’amore e forse la risposta è che se avessi un maschietto da tirare su dovrei cominciare proprio da lui… forse.