Diciamo spesso, nel commentare i fatti di cronaca o i provvedimenti del legislatore in tema di femminicidio, che il problema della violenza di genere ha una radice profondamente culturale, che andrebbe presa in considerazione già nelle prime fasi di costruzione delle coscienze, cioè nella scuola. E questo in effetti tentano di fare i corsi di educazione al genere di cui parla oggi Repubblica (raccontando il caso di una scuola di Torino) e che già sono attivi in molte scuole sul territorio nazionale. Un tentativo di mapparli l’aveva messo in campo poco tempo fa Stefania Prandi nella sezione Donne di fatto de Ilfattoquotidiano.it: «Nelle scuole italiane – raccontava Prandi – ci sono buone pratiche per educare gli studenti e le studentesse al “genere”. Con questo termine si intendono tutte le lezioni e gli incontri che cercano di rompere gli stereotipiche riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini. Questi stereotipi – secondo i quali, ad esempio, le donne sarebbero destinate a svolgere certe mansioni, come essere dedite alla cura dei figli, degli anziani e della casa, e gli uomini invece fatti per il lavoro che produce reddito e la carriera – sono contenuti anche nei libri di testo». Quello su cui invece focalizza l’attenzione Repubblica oggi, nell’articolo a firma di Maria Novella De Luca e Diego Longhin, è il caso dell’intervento massiccio messo in campo dal Comune di Torino e che interesserà le scuole elementari e medie: «nelle scuole elementari di Torino – spiega l’articolo – si analizzeranno fiabe e cartoni animati, e alle medie si discuterà di Storia, ma partendo, finalmente, dal punto di vista femminile». Spiega Umberto Magnoni, direttore del settore formazione del Comune di Torino: «Se ho la giusta percezione della differenza, se riconosco il ruolo dell’altro sesso, so anche che quella persona non è inferiore a me».