Lella Costa

Lella Costa

Lella Costa

Lella Costa non ha bisogno di presentazioni: la sua brillante carriera sui palcoscenici italiani l’ha resa una vera e propria icona del teatro civile. L’incontro con “Ferite a morte” risale alle origini del progetto, per il quale sin da subito Lella ha calzato scarpe rosse e ha dato voce alle vittime di femminicidio. Ora è lei a raccogliere in prima persona il testimone di questa avventura e a guidare il cast di questo nuovo allestimento in tournée lungo tutto lo stivale.

“Ferite a morte” traduce un tema di scottante attualità nel linguaggio della scena. In diverse occasioni, nella sua carriera, i suoi monologhi teatrali hanno tentato di scuotere la coscienza del pubblico, specie di quello maschile. Che bilancio traccia di quest’esperienza? Quali quanti feedback riceve? 

«Mi sembra complessivamente di avere avuto nel tempo delle reazioni positive,e comunque delle reazioni,che è già qualcosa,ai temi che ho via via affrontato e “lanciato” al  pubblico ( oltre alle questioni strettamente “di genere”,la memoria,la guerra,l’uso doloso del linguaggio,il tempo,la prostituzione,i fraintendimenti amorosi e,appunto,la violenza sulle donne,anche prima di Ferite a morte). Tenendo conto che  in generale la grande  maggioranza del pubblico  del teatro è costituito da donne, e che magari a vedere me la percentuale sale ulteriormente, mi sembra di poter dire che una discreta percentuale di uomini ha avuto voglia  di venirmi a incontrare in camerino,in genere per parlarmi e anche per  ringraziarmi. Con le donne avviene sicuramente molto più spesso e con intensità e complicità diverse,ma,come si dice, ci sta tutto».

La cosiddetta questione femminile, guardando non solo i dati relativi relativi al femminicidio, ma anche l’occupazione, la parità salariale e le pari opportunità in genere, sembra essere un grande irrisolto della società italiana. Secondo lei perché?

«Direi che non è soltanto una realtà italiana,anche se da noi certi aspetti- soprattutto quelli che riguardano la parità salariale e il lavoro in genere- sono forse più smaccati e evidenti. Credo che abbia a che fare innanzitutto con una cultura profondamente sessista che ha fatto sì che il delitto d’onore sia stato derubricato solo in tempi  recenti,e lo stesso dicasi per lo stupro,che non a caso prima veniva considerato reato  contro la morale e non contro la persona: direi che questo la dice lunga su una percezione “reificata” della donna assai difficile da estirpare. Mi sembra che da noi,molto più che in altri paesi occidentali ( degli altri so troppo poco) sia stata fatta surrettiziamente passare l’idea che la “questione femminile” riguardasse le donne, mentre sappiamo bene che non esiste una sola questione femminile che non riguardi  l’intera umanità, e l’intero pianeta».

 È l’amore a rendere fragili e vulnerabili le donne di “Ferite a morte”? 

«L’amore,certamente,ma anche tutti i suoi fraintendimenti: dedizione,abnegazione,sottomissione,annullamento di sé… E soprattutto il terrore ancestrale di non poter esistere se non  definita da  un ruolo preciso,che sia  di moglie o di madre o anche di “donna di”:  se non sono o non sono più quello,non esisto. E fra non esistere e essere fisicamente annientata a volte non  si ha modo di scegliere».

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